Martedì 8 maggio 2007 - Normalmente abituato ai silenzi, il mondo del ciclismo sembra aver finalmente aperto quel “vaso di Pandora” troppo a lungo rimasto chiuso. La confessione di Michele Scarponi arriva infatti a meno di 24 ore da quella del più celebre collega Ivan Basso, e rappresenta un segnale incoraggiante per tutto il movimento. Come preannunciato ieri dal patron dell'Acqua e Sapone, Palmiro Masciarelli, il corridore di Jesi si è presentato spontaneamente questa mattina con i suoi avvocati (Viviani e Lancellotti) per essere ascoltato dalla Procura antidoping del Coni e ha ammesso le proprie responsabilità' nell'ambito dell'Operacion Puerto, dichiarando la massima disponibilità a collaborare con la Procura per chiarire i fatti relativi al suo coinvolgimento. Il ciclista della Acqua&Sapone-Caffè Mokambo, a cui era stata contestata la violazione dell'articolo 2.2 del codice Wada (uso o tentato uso di una sostanza vietata o di un metodo proibito), non si è limitato ad ammettere le proprie colpe, ma secondo la Procura avrebbe fatto una serie di nomi, non di altri corridori, che hanno obbligato Ettore Torri e il suo staff a secretare il verbale dell'interrogatorio, andato avanti per quasi tre ore con un volume del verbale paragonabile a quello di Ivan Basso. Grande soddisfazione negli ambienti della Procura, non solo per essere riusciti ad avere due confessioni in due giorni in un mondo normalmente abituato al silenzio, ma soprattutto per l'atteggiamento di Scarponi che ha fornito una visione complessiva dei fatti molto più precisa e dettagliata rispetto a quella di Basso, dato che a differenza dell'atleta varesino era tesserato per una squadra spagnola e soprattuto viveva a Madrid, frequentando spesso lo “studio” del dottor Fuentes.La Wada intanto, dopo essersi informata dei fatti, ha chiesto al presidente Gianni Petrucci di inoltrare alla procura antidoping una richiesta per conoscere se nelle confessioni dei due corridori italiani veniva fuori il nome di Floyd Landis, vincitore del Tour nel 2006, poi revocato dopo la positività. La Procura ha fatto sapere all'agenzia mondiale dell'antidoping che il nome di Floyd Landis non è emerso. Intanto il “vaso di Pandora” è stato scoperto. BASSO - Doping tentato, ma non perpetrato: è la linea difensiva di Ivan Basso, ma che non varrà sconti dalla giustizia sportiva internazionale. Il varesino. nella sua spiegazione della scelta di collaborare con il Coni, ha mostrato di sapere cosa lo aspetta. ''Non ho mai assunto sostanze dopanti e non ho mai fatto emotrasfusione'', ha detto Basso. Prmai è chiaro a tutti. Ma è l'articolo 2.2 del codice della Wada a rendere quest'affermazione giuridicamente irrilevante, perché per l'agenzia mondiale antidoping l'intenzione vale il fatto compiuto. All'articolo 2.2 il Codice considera infrazione ''l'uso od il tentativo di usare una sostanza vietata'', precisando che ''il successo o l'insuccesso (...) non e' determinante''. In entrambe i casi - uso o semplice tentativo - la sanzione prevista dal Codice dell'Agenzia mondiale antidoping (Wada) è di due anni di squalifica. Non è cioè valutata come circostanza attenuante l'eventualità che il tentativo sfoci poi nel nulla di fatto.
D'altra parte, il Codice (in vigore dal gennaio 2004 ed in corso di revisione) consente la pronuncia di una sanzione più leggera nei confronti dello sportivo che con la sua collaborazione consenta di accertare un'infrazione commessa da altra persona. |