Mercoledì 3 maggio 2006 - «Lui è distrutto? E io che ho perso tutti i soldi, che cosa dovrei essere?». Lorenzo Foti, uno dei truffati del crac Caon butta lì, a botta calda il proprio giudizio. Foti ha perso quasi 250 mila euro. Scomparsi nel nulla. Tutti i risparmi di famiglia e soprattutto tutti i soldi che gli aveva lasciato il padre scomparso. Dopo le dichiarazioni rilasciate da Roberto Caon , 62 anni, l'ex funzionario di Banca Intesa resosi irreperibile da gennaio scorso, tra le persone che hanno avuto a che fare con lui, e che ovviamente ci hanno rimesso un sacco di soldi, prevale l'incredulità, ma anche la rabbia, non contro lo stesso ex funzionario di banca, piuttosto verso l'istituto di credito che, in qualche modo, non ha tenuto conto del comportamento di Caon prima e dopo il pensionamento. «In generale - attacca Foti - lui dice che è distrutto, ma lo sono anch'io. Anzi, mi sento preso in giro dal suo agire tanto esecrabile e per l'atteggiamento intollerabile di Banca Intesa, allora Ambroveneto, che non ha mai vigilato. D'altronde io, piccolo risparmiatore, che colpa ne ho se la banca già dal 1995 aveva nel proprio seno un truffatore. Per questo motivo, la responsabilità oggettiva dell'istituto di credito è totale visto che il ragionier Caon mi ha sottratto il denaro fin da quell'anno. Dichiara altresì di aver compiuto la truffa, rovinandoci, per aiutare un amico. E se proprio doveva farlo, lo avrebbe dovuto fare con i suoi soldi, con le sue sostanze, mettendoci del suo e non il denaro degli altri, peraltro di nascosto, distribuendolo in giro, mentre io pensavo che i miei soldi fossero al sicuro in un autorevole istituto di credito. In questo modo Caon ha commesso truffa, furto, falso in scrittura privata e falso ideologico. Prima di tutto dovrebbe capire questo e poi vergognarsi». Foti è un fiume in piena: «Caon - ricorda - era una banca nella banca. Si fingeva ai nostri occhi un manager, ma solo poche settimane fa ho saputo dal direttore dell'agenzia di via Lazzari, che era solo un addetto dell'area amministrativa...». Caon parla di stima? «Direi che la stima è un'altra cosa - aggiunge Foti - Ora mi auguro solo che la giustizia faccia il suo corso. Forse doveva farsi vivo prima, forse non doveva andarsene così. Ma in realtà siamo di fronte ad una persona che ha rubato! Di sicuro, anche in quello che ha detto, non ha giocato a carte scoperte. Come può una tipografia, che non è una grandissima impresa editoriale, "mangiare" così tanti soldi e poi per giunta fallire? É una cosa letteralmente assurda! Con tutti quei denari sarebbe dovuta decollare e invece è finita nel baratro!». Laconico sulle dichiarazioni di Caon , un altro truffato, Davide Pesce che nel crac ha perso 135 mila euro e la possibilità di metter su casa. «Caon non ha chiarito un bel nulla - taglia corto - Certo, posso contestare l'operato di quel funzionario di banca, ma le responsabilità sono soprattutto di Banca Intesa anche se recentemente ha fatto emergere qualche segni di collaborazione. Ho sempre pensato di fare un investimento non con il signor Caon , ma con la banca, con quella banca. Quando come dipendente sbaglio, sarà il datore di lavoro che mi fa capire che ho commesso un errore e toccherà a lui, insieme a me, recuperare credibilità. Ne avrei tante da dire a Caon , ma in realtà sono senza parole. Mi sembra incredibile che abbia voluto aiutare un amico in questo modo, ma al mondo di cose incredibili ce ne sono fin troppe». LA LETTERA - “Ho letto attentamente le interviste concesse da Roberto Caon al "Gazzettino" e mi ha sorpreso il fatto che egli non abbia dato alcuna indicazione circa le iniziative che intende assumere per favorire il risarcimento dei truffati. Esprimere (come ha fatto) l'auspicio che i danneggiati possano essere risarciti "quanto prima" è un atto certamente doveroso ma non può bastare. Come non può bastare il tentativo di "nobilitare" l'azione truffaldina chiamando in causa, a mo' di scusante, la generosità dell'amico che soccorre l'amico in difficoltà o di chi ha, in perfetta buonafede, mal riposto la propria fiducia. Arroccarsi in questo tipo di difesa è senza dubbio un errore sia sul piano fattuale che su quello psicologico. Meglio sarebbe (anche se mi rendo conto che il mio consiglio esula troppo disinvoltamente da considerazioni di tipo penale) che il Caon assumesse appieno le proprie responsabilità, non arroccandosi in un pilatesco riserbo più volte invocato, ma ammettendo chiaramente ciò che una verità a tutti nota e cioè che lui ha continuato a operare in Banca Intesa ben oltre il suo pensionamento, che lì ha continuato a ricevere gli investitori fino all'inizio del 2005 e che a costoro ha rilasciato ricevute su carta intesta della banca con tanto di timbri e ricevute. Egli dovrebbe poi, in quanto esperto, suggerire alle persone turlupinate di avvalersi dell'articolo 2049 del Codice civile che ravvisa una responsabilità del datore di lavoro ogni qual volta l'attività esercitata dal dipendente abbia, nella sua estrinsecazione apparente, determinato una situazione tale da agevolare o comunque rendere possibile il fatto illecito. Se poi, in aggiunta a tutto questo, egli facesse sapere , da conoscitore di prudenzei bancarie, che esiste un'assicurazione contro tali spiacevoli evenienze, ciò consentirebbe ai truffati di chiedere, con maggiori possibilità di successo, il risarcimento completo delle somme investite”. Gino Spadon
DOMENICA 23 APRILE 2006 - Caso Caon , ora scoppia la polemica "televisiva". Dopo la puntata di venerdì scorso di "Mi Manda RaiTre" in parte dedicata alla vicenda di Roberto Caon (nella foto), l'ex funzionario di Banca Intesa di Mestre che ha lasciato sul lastrico una cinquantina di persone tra parenti, amici, conoscenti e semplici clienti dell'istituto di credito, la vicenda si arricchisce di un nuovo capitolo. Dopo il clima non proprio sereno della trasmissione, con più di qualche giustificata intemperanza da parte dei risparmiatori traditi da Caon , il suo legale, l'avvocato Claudio Maruzzi del Foro di Ferrara, ha deciso di prendere carta e penna e stigmatizzare quello che viene definito il "processo mediatico" nei confronti del suo assistito. «Lo ribadisco - spiega l'avvocato - c'è una persona che ha sbagliato, che ha ammesso le sue colpe, che ha spiegato al magistrato i motivi del suo dissennato agire, che sta pagando un prezzo molto alto a livello umano e che verrà processato e condannato da un Tribunale della Repubblica. Siamo di fronte a una persona che ha spiegato di aver usato i soldi dei clienti per un'operazione di salvataggio di una tipografia, rivelatasi fallimentare e che, se fosse andata a buon fine, avrebbe restituito tutti i soldi ai risparmiatori che troveranno comunque il modo di essere risarciti. Tuttavia il popolo di "Mi Manda RaiTre" e il suo conduttore vogliono il colpevole in galera subito, si meravigliano e si dolgono che ciò non sia ancora avvenuto, vogliono sapere dov'è Caon a tutti i costi, ma è sembrato che lo volessero, sostanzialmente, linciare. Forse essi non ritengono che il colpevole meriti una difesa legale, e che le sue ragioni debbano essere valutate da un giudice. Meglio abbandonarsi alle valutazioni sulla plausibilità della linea difensiva dei giuristi dell'«arena», anche e soprattutto per esigenze di "audience". Non voglio usare la parola "giustizialismo", a me odiosa, dico solo che le logiche della vera informazione imporrebbero altro. Spesso la spettacolarizzazione delle vicende giudiziarie sovrastano il giusto processo». Insomma, un attacco pesante e circostanziato quello del difensore di Caon . «Non sto dicendo che di queste vicende non se ne deve parlare - taglia corto Maruzzi - Anzi. Dico solo che l'impostazione da "arena" della trasmissione, pur "pagante" a livello di audience, porta spesso ad alimentare comportamenti che hanno poco a che fare con un pacato e equo dibattito. Significa spiegare che il colpevole ha diritto a un giusto processo e che la valutazione del suo comportamento processuale e delle ragioni che lo hanno portato a commerttere illeciti verrà "pesato" da un giudice che deciderà la giusta pena. E in tutto questo va spiegato come ogni cittadino abbia il diritto all'oblio se non ricercato dalla magistratura. O spiegare che le misure cautelari vengono applicate solo in caso di pericolo di fuga o di reiterazione del reato, che solo il giudice può accertare. Eccitare, diversamente, il pubblico verso questa soluzione rischia di essere pericoloso e scorretto». Alla singolar tenzone dell'avvocato di Caon , risponde il conduttore di "Mi Manda RaiTre", Andrea Vianello: «Nella tradizione della trasmissione non c'è spazio per il giustizialismo - avverte - Il programma non vuole sovrapporsi e/o integrarsi con il lavoro della magistratura. Obiettivo primario, fortemente voluto dal servizio pubblico, è quello di fare informazione mettendo a confronto chi ha subìto un torto e chi lo avrebbe compiuto. Lo abbiamo fatto anche in questa occasione invitando Caon e il suo legale come sempre accade. E abbiamo fatto domande con l'obiettivo giornalistico di avere risposte. Credo che l'avvocato Maruzzi abbia avuto tutto lo spazio per spiegare la posizione del suo assistito. Ogni accusa di giustizialismo mi sembra totalmente fuoriluogo».
VENERDÌ 21 APRILE 2006 - Colpo di scena nella vicenda Caon . Mercoledì mattina l'ex funzionario di Banca Intesa scomparso dalla circolazione da gennaio scorso si è presentato al sostituto procuratore di Venezia, Emma Rizzato, che sta curando l'indagine che lo riguarda, per presentare un nuovo «memoriale» nel quale, grazie all'assistenza dell'avvocato Claudio Maruzzi di Ferrara, ha rievocato tutte le fasi del crac finanziario che lo coinvolto e che ha travolto almeno una cinquantina di risparmiatori che nel corso di oltre dieci anni si erano rivolti a lui per investire il proprio denaro. Roberto Caon , insomma, ha voluto offrire al magistrato un "supplemento di indagine" alla propria vicenda completando così il primo dossier elaborato nel luglio dello scorso anno quando l'ex funzionario bancario e abile organizzatore di gare sportive, nel quale aveva illustrato i motivi che lo avevano portato a "stornare" i finanziamenti ottenuti dai risparmiatori in un'operazione di salvataggio di una gloriosa ditta di Mestre, la tipografia Pistellato, che navigava in cattive acque e che poi fallì alle soglie del 2001. «Caon - spiega l'avvocato Maruzzi - si è assunto la responsabilità rispetto alle operazioni finanziarie curate per i clienti della banca, mettendosi a disposizione dell'autorità giudiziaria, alla quale ha offerto un contributo sostanzioso, documentando aspetti della vicenda ancora non emersi, in particolare in relazione all'aiuto prestato all'amico tipografo per sanare la sua gravosa situazione debitoria. Il dato che emerge dai documenti prodotti è che le somme investite dai clienti dell'istituto di credito nelle mani di Caon a partire dagli anni Novanta sono sostanzialmente equivalenti a quelle negli anni utilizzate per pagare debiti della tipografia e a quelle, in parte, rimborsate agli stessi clienti». Dalle parole dell'avvocato difensore di Caon emerge quindi un'ulteriore conferma: l'attività svolta dal funzionario bancario quando era in servizio e poi anche in quiescenza, era rivolta in qualche modo al salvataggio della tipografia in cattive acque e anche a trovare un acquirente che poi individuato, era improvvisamente deceduto, mandando a monte la trattativa. «Caon - aggiunge l'avvocato - ha spiegato che la causa del mancato rimborso ai clienti era strettamente connessa al fallimento della tipografia, che ha precluso la vendita già programmata dell'azienda, con il cui ricavato il Caon era certo di recuperare sia il denaro proprio investito nella tipografia sia, soprattutto, i soldi investiti dai clienti, che si è trovato pertanto nella impossibilità di rimborsare». Emerge quindi una situazione completamente nuova rispetto a quella evocata nelle scorse settimane. «Caon - chiarisce il legale - non si è affatto arricchito ma è precipitato in un vortice dal quale non è riuscito ad uscire: la sua amarezza più grande è quella di avere procurato danni, pur involontariamente, a persone che hanno goduto della sua fiducia». Fino a questo momento, va ricordato, che in Tribunale risultano pendenti solamente la denuncia per truffa aggravata presentata dall'istituto di credito per il quale Caon lavorava, e una sola denuncia da parte di un ex cliente del funzionario che, peraltro, non ha ancora formulato la richiesta di risarcimento danni. «Quello che ci preme sottolineare - conclude l'avvocato - è la volontà di Caon di collaborare con la magistratura sotto tutti i punti di vista. Oltre a questo, ci preme sottolineare che, a poco a poco, stiamo ricostruendo una situazione delicata, complessa, lunga oltre dieci anni. Un lavoro non facile, ma che consente di vedere con maggiore chiarezza questa vicenda che è stata, a volte descritta, in maniera diversa dai suoi veri contorni».
dal Gazzettino di Venezia |